Qual’e il comune denominatore del benessere? E cosa definisce e descrive uno stato di benessere psichico, fisico e mentale. Purtroppo, benché il benessere individuale, ossia il frutto di un equilibrio perfetto, dovrebbe essere la normalità con cui ci si identifica, oggi è più facile riflettersi in un malore, in un disturbo, o in una malattia, riconoscendosi quindi nel malessere piuttosto che nella benefica omeostasi. Quello che viene perso di vista con la medicina tradizionale e con la farmacologia classica, è che la malattia è scatenata primariamente dalla perdita di una condizione di equilibrio perfetto in cui l’organismo nasce. Per fattori esterni, che inevitabilmente si riflettono negativamente sul corpo allontanandolo dalla sua naturale condizione di benessere, si riscontrano problemi fisici, generalizzati o localizzati che, se non risolti, divengono col tempo l’identificazione della persona stessa.
Si intuisce così, come la malattia sia il frutto di un disequilibrio e si intuisce anche che il ricreare l’armonia può ricondurre l’organismo al benessere prima mentale e poi fisico. Ogni cattiva abitudine o condizioni di vita stressanti a lungo termine, possono condurre ad uno stato di malattia. L’alimentazione stessa e l’utilizzo cronico di farmaci (i farmaci necessari ci servono per poter vivere, ma tutti i farmaci che assumiamo sono veramente necessari?), possono condurre a creare una maggior resistenza del corpo verso il suo stesso stato di benessere, allontanandosi sempre più da quello stato di equilibrio indispensabile affinché non si sviluppino malattie.
Si può così riottenere uno stato di salute, già allontanandosi da quel circolo vizioso che spesso è alimentato da numerosi paradigmi della medicina classica, avvicinandosi invece ad una mentalità maggiormente olistica (cioè integrata, aperta) dove i presupposti prettamente chimici del pensare medico accademico, siano ampliati ad un pensare in modo fisico, frequenziale, informazionale, tipico delle medicine non convenzionali. Queste, mirano a ripristinore il naturale equilibrio corporeo (la famosa omeostasi) ed hanno anche ‘obiettivo di mantenere nel tempo lo stato di benessere riconquistato. Questo approccio focalizza l’attenzione sulle cause che scatenano la malattia e non sui sintomi che la malattia manifesta. Viene stimolata ed amplificata l’innata capacità, insita in ogni essere vivente, all’autoguarigione, che ovviamente deve essere contestualizzato nei confini della corretta opportunità realizzativa. Questo è il ruolo del medico, quello vero, ad ampio spettro, competente e informato sulle diverse possibilità terapeutiche disponibili, ma anche prudente selezionatore della migliore scelta possibile in quel singolo caso.
Il processo di autoguarigione, inizia dall’accettazione del concetto del proprio sè. E’ un percorso e non un’improvvisazione. Bisogna imparare (arrivando così a credere) che possiamo “autoguarirci”, diventando consapevoli della propria energia, accettandoci, stimandoci ed amandoci (per inciso vi comunico che amare è un termine il cui significato è, nella stragrande maggioranza dei casi, utilizzato a sproposito!). Questo passaggio è indispensabile, perché il primo sabotaggio, ovviamente rigorosamente inconscio (e dei sabotaggi parlerò!), è proprio la nostra diffidenza verso le proprie innate capacità naturali. Una volta accettati se stessi e l’idea che possiamo decidere di guarire, bisogna iniziare ad accettare gli altri per quello che sono, poiché esiste una sorta di effetto specchio che ci fa proiettare sugli altri tutto quello che in realtà noi siamo nella nostra essenza. Ecco quindi che, in estrema sintesi, possiamo concludere che vivere in salute è possibile solo quando viviamo in equilibrio con tutto ciò che ci circonda, persone comprese e questa è una cosa che non si compra, non si vince, ma ci si guadagna con dell’onesto lavoro su sé stessi.